Qui di seguito è riportata l’intervista realizzata da TRAKS, che ringrazio di cuore, in occasione dell’uscita del mio ep Restare in piedi. L’originale lo potete leggere cliccando qui.

“Un passato in band punk rock, un libro di poesie pubblicato, una laurea in Scienze e Tecnologie delle Arti e dello Spettacolo e ora un ep, Restare in piedi, tutto dolcezza e malinconia. Abbiamo intervistato Emanuele Sosta.

Puoi raccontare la tua storia fin qui?

Eh… la mia storia comincia all’età di undici anni, quando ho toccato per la prima volta una chitarra acustica. È capitato a caso. Sono entrato in casa dei miei nuovi vicini, una famiglia che non ringrazierò mai abbastanza, e l’ho vista là appoggiata al muro. Ho preso da loro un po’ di lezioni e la cosa mi ha cambiato la vita. A quel tempo ero un ragazzino solitario e molto introverso, che faceva molta fatica a relazionarsi con gli altri. Non avevo mai il coraggio di dire quello che pensavo perchè mi facevo andare bene tutto pur di venire accettato dagli altri.

Mi piaceva stare in compagnia e mi ero fatto alcuni amici, ma non era facile per me. Così, una volta tornato a casa, prendevo la mia chitarra e sfogavo tutto quello che mi andava di sfogare, quello che non ero riuscito a dire alla ragazza che mi piaceva o a quei simpatici personaggi sull’autobus che mi avevano preso di mira e ogni giorno mi aprivano lo zaino e mi sparpagliavano le cose ovunque, che spesso andavano perse. Mi sfogavo componendo canzoni con i primi accordi che avevo imparato. Quei testi li conservo ancora.

Rileggendoli sorrido perché erano proprio testi da ragazzino, ma erano importanti per me in quel momento. Mi facevano stare bene, come dopo aver fatto sport. Buttavo fuori tutto, liberavo l’anima. Così a sedici anni ho fondato la mia prima band: i Noise From Mercury. Ho vissuto tantissime esperienze con loro: l’agitazione dei primi live, la soddisfazione di aver vinto un paio di contest, la registrazione di un ep. Suonavamo cover pop-punk intervallate da pezzi nostri, della maggior parte dei quali io ero l’autore.

Ci siamo sciolti un paio d’anni fa, quando suonare le nostre canzoni non ci esaltava più e io non riuscivo più a scriverne di nuove. Ne scrivevo ancora, certo, ma per me stesso e un genere completamente diverso. Probabilmente come gruppo non avevamo più niente da dire. Abbiamo suonato insieme per otto anni, non poco per una band adolescenziale. Ho quindi deciso di intraprendere un percorso solista, senza utilizzare nomi d’arte e assumermi così le mie responsabilità. Ecco, penso che questa sia la mia storia, cosa più e cosa meno.

Come sono andate le lavorazioni del tuo disco?

Credo che la parola più giusta per definirle sia sorprendenti. Sono cresciuto molto durante la sua creazione, soprattutto grazie alle persone che mi hanno affiancato. Mentre passavo in rassegna i diversi studi di registrazione di Brescia per cercare di rendere concreto il mio progetto, mi sono imbattuto nel MacWave Studios dove ho conosciuto Paolo Costola, il mio produttore, e Valerio Gaffurini, il mio editore. È qui che sono cresciuto.

Il MacWave Studios è uno studio che ogni giorno vede veri professionisti del mondo musicale e io sono arrivato lì come un randagio, senza aver mai cantato prima e nemmeno fatto ascoltare un mio pezzo a qualcuno. Ricordo di aver pensato “ma cosa ci faccio qui, questo non è il posto per uno come me”. Ma mi sbagliavo. Con Paolo c’è stato subito feeling perchè mi ha capito all’istante. Abbiamo lavorato “a singolo”, cioè abbiamo preso un brano alla volta senza mai pensare all’idea di un disco.

Abbiamo analizzato i punti forti e i difetti di ognuno e ogni volta il risultato è stato, appunto, sorprendente. Mai avrei pensato che le mie canzoni potessero suonare così come suonano nel disco. Da ragazzino che sognava di fare il cantautore, ora mi ritrovo a esserlo davvero, nel mio piccolo. Lavoro molto seriamente sui miei pezzi. Prendo la cosa sul serio. Tutto grazie a Paolo e Valerio, che ci tengo a ringraziare anche qui, ancora una volta, perchè senza di loro ora non staremmo parlando del mio disco.

Come nasce la title track, Restare in piedi?

Restare in piedi è un singolo nato così, più o meno in quindici minuti. Avevo questo giro di accordi malinconico trovato sul momento e le parole sono uscite da sole. Era uno di quei momenti in cui ti fermi e tiri le somme di quello che hai fatto. Mi sono accorto che tutto quello che ho fatto finora, compresi gli studi, è stato un susseguirsi di cose scollegate, a volte anche senza senso ma che mi andava di fare. Sono una persona soddisfatta di quello che ha fatto e che lo rifarebbe, ma non credo di poter dire felice.

Sono consapevole di avere tutto quello di cui ho bisogno, una casa, una famiglia, degli amici, eppure mi manca sempre qualcosa e non so che cosa. Sono sicuro che non è niente di materiale, ma qualcosa che inseguo e non riesco a trovare, per esempio il mio posto nel mondo. Ho questo bisogno costante di cercare e le cose che trovo durante il percorso finiscono in una canzone.

Probabilmente cerco di trovare un senso alla vita, che amo follemente, e forse è proprio per questo che ogni volta ne rimango deluso. È da queste sensazioni che nasce Restare in piedi. Mi sono reso conto poi che era il titolo perfetto per l’album, perchè la linea conduttrice è esattamente quella di resistere alle difficoltà per proseguire nella ricerca di qualcosa, magari proprio del bello della vita. Ascoltando le mie canzoni posso sembrare una persona negativa e pessimista, ma in realtà sono esattamente il contrario.

Mi sembra che il disco abbia vasti riferimenti alla musica cantautorale italiana. Quali sono i tuoi capisaldi?

Credo che la mia musica sia influenzata da due autori italiani in particolare: Vasco Rossi e Marco Masini. Ascolto molta musica italiana e non, ma loro sono le mie basi. Vasco è un secondo padre per me, le sue canzoni contengono esperienze e consigli preziosi. Ogni sua canzone parla di me, in qualche modo. Brani come Un senso, Vivere, che è la mia preferita, o ancora E adesso che tocca a me, sono piene di amarezza, di quel disincanto che sento dentro per mia natura. Vasco non mi fa mai sentire solo.

Lo ascolto ogni giorno da sempre e ovviamente non posso che rimanerne influenzato in qualche modo. Marco Masini invece potrebbe fare parte della prima domanda perchè è parte della mia storia. Ancora prima di nascere, quando mi agitavo nel pancione di mia madre, lei era solita farmi ascoltare Masini con le sue cuffie perchè a quanto pare era l’unica voce che riusciva a tranquillizzarmi.

Mi sono quindi spaventato quando alle scuole medie ho ricominciato ad ascoltarlo di mia spontanea volontà e mi sono ritrovato a cantare a memoria canzoni che non avevo mai sentito prima. Quando ho scoperto che erano quelle che mi faceva ascoltare mia madre allora ho realizzato. Anche la sua musica dunque è importante per me e di riflesso per le mie canzoni, perchè anche lui come Vasco scrive cose che riflettono i miei pensieri.

Stai scrivendo il tuo primo romanzo: ce ne puoi parlare?

Oltre all’ambito musicale negli ultimi tre-quattro anni mi sono dedicato anche alla letteratura e alla poesia. A scuola sono sempre stato attratto da una materia in particolare: l’italiano. Sono una persona che legge parecchio, circa cinque libri al mese, di ogni genere. Non riesco a dormire se prima non leggo qualcosa. Romanzi, raccolte di poesie, biografie. La mia prima esperienza nel campo letterario è stata la pubblicazione di una raccolta di poesie intitolata Albori d’Inquietudine, nel 2016, con una casa editrice di Brescia.

Il sogno nel cassetto, però, rimane scrivere un romanzo e mi sto impegnando a farlo. Tra i miei libri preferiti c’è Jack Frusciante è uscito dal gruppo di Enrico Brizzi e sto cercando di scrivere qualcosa di simile, toccando gli stessi temi e le stesse emozioni con la stessa semplicità ma ambientandolo al giorno d’oggi, dove tutto è forse più facile e più difficile allo stesso tempo. Quello che è certo è che sto procedendo con calma, senza scadenze, perché scrivere è un passatempo che mi fa staccare la testa e non pensare a tutto il resto.

TRACCIA PER TRACCIA

Ci sono indizi di cantautorato italiano in Eroina delle favole, che apre il lavoro con idee molto semplici e suoni di pianoforte. Con Non va più via invece il discorso si sposta sulla sei corde, per immagini di stampo “autostradale”.

Con Restare in piedi, la title track, si torna al pianoforte, in atmosfere nostalgiche e dolci. Si procede con l’alternanza con la chitarra acustica in La vita è bella anche così, che ha una trama molto fitta.

Chiusura pienamente nostalgica (e ancora acustica) con Non tornerà. Cuore infranto e semplicità sembrano le componenti base del lavoro di Emanuele Sosta, corroborate da una buona dose di sincerità”.

La mia intervista su TRAKS
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